Niente di meglio che gustare un vino da invecchiamento… col passare degli anni.
Se poi parliamo di uno dei più grandi bianchi italiani, gli ingredienti per una serata di successo ci sono tutti.
La verticale dedicata al Cervaro della Sala di Antinori è stata un momento per bere (bene) ma anche per confrontarsi sul valore di un’eccellenza riconosciuta, sul suo potenziale evolutivo e – perché no? – sul suo prezzo di mercato. I fortunati partecipanti all’evento tenuto all’hotel Diamante di Corbetta, hanno scoperto un vino in grado di entusiasmare ma anche di far discutere.
Guidati con competenza dai sommelier Raffaele Novello e Marco Barbetti, quest’ultimo eletto miglior sommelier Fisar 2018.
I relatori hanno prima accompagnato i presenti a scoprire il “luogo fatato” dove nasce il Cervaro e le tappe fondamentali della sua storia. Come ad ispirare Renzo Cotarella e Antinori stesso siano stati un “Gavi de La Scocca – etichetta nera” e un Corton Charlemagne Gran Cru borgognone; quanto sia maniacale l’attenzione in vigna per arrivare a produrre un vino che resta pulito anche dopo molti anni di invecchiamento; e infine quale sia l’età consigliata dallo stesso produttore per godersi al massimo una bottiglia di Cervaro della Sala.
La verticale prevedeva un 2016 dorato intenso (il colore dell’oro ha caratterizzato tutti i vini aperti durante la serata) che al naso presentava sentori di frutta esotica, le tipiche sfumature della barrique e un’ampia gamma floreale ben chiusa dalle erbe officinali e da una nota speziata. Mentre l’elegante mineralità faceva da sfondo a tutto il resto.
Per arrivare a una bocca equilibrata in grado di mesclare alla perfezione carnosità e acidità.
L’annata 2013, invece, si è mostrata subito meno prorompente e caratterizzata da sentori più agrumati, accanto agli immancabili figliocci della botte piccola: burro d’arachidi, vaniglia e miele.
Qui era evidente la nota amaricante che ha costituito uno dei fili conduttori dell’intera degustazione, al pari della persistenza gustativa.
Il 2012, poi, è stato una sorpresa: l’acidità era perfino superiore rispetto al 2013, mentre il naso giocava tra il burro e la pesca sciroppata.
A braccetto con piacevoli sentori di roccia bagnata e fico.
Ma è stato il 2011 ad appassionare di più i presenti, grazie ai sentori di pietra focaia alternata a frutta matura e secca, alle erbe aromatiche e a una sapidità salmastra.
La bocca? Divertente e stupendamente acida per un vino bianco che ha “timbrato” gli otto anni di vita; ma di un’acidità in grado di rincorrere la morbidezza in una lunghissima staffetta.
Il consiglio del sommelier? Abbinatelo alle lumache alla bourguignonne. O perfino al risotto con l’ossobuco.
E nel frattempo preparatevi alla prossima degustazione, quando lo chardonnay sarà di nuovo protagonista…